Qual è lo sport più bello del mondo? Il calcio. Agli scettici che considerano questa frase un puro assioma si consiglia di rivedersi, senza pregiudizi, Italia-Germania 4-3 oppure Svizzera-Francia appena giocata agli Europei (vinta dagli elvetici ai calci di rigore dopo 120’ di lotta allo spasimo).
Due magnifici spot per quanti ancora lo riducono a uno stupido gioco in cui undici uomini (o donne) in mutande corrono dietro a un pallone. Lo ha spiegato alla sua maniera Gianni Brera, uno che certi concetti sapeva bene come proporli: “Il calcio si eleva di tre spanne agli occhi di coloro che, sapendolo vedere, lo prediligono su tutti i giochi della terra“ (cit. da “Quel calcio lineare e sovrano”, articolo scritto per Repubblica il 3 febbraio 1987).
La precarietà resta il grande limite di questo sport, la cui valenza sociale è espressa dalla sua trasversalità. Una spada di Damocle che pende su tutti, nessuno escluso. I club sono canne al vento. Sono in balia di proprietari che, partendo da motivazioni diverse, possono decidere in qualsiasi momento di bucare il “loro” pallone e portarselo a casa lasciando allo sbando città e tifoserie.
Per questa, e per molte altre ragioni, il calcio ha un disperato bisogno di etica. La ‘grande storia del club’ è invece spesso (ma non sempre per fortuna) affidata a personaggi sbiaditi, senza fantasia, senza lungimiranza, senza vero interesse per la città e per il territorio che i colori delle maglie rappresentano.
Un’etica che i tifosi, candidi e immarcescibili Peter Pan, riescono invece a iniettare in dosi industriali (ancora e pervicacemente) dentro un sistema contaminato oltre ogni ragionevole misura da un business sfrenato che potrebbe farlo scivolare, lentamente ma inesorabilmente, verso il collasso.
L’amore (perché è di amore che si parla) dei tifosi per le maglie non viene mai meno nel corso della vita, qualunque cosa accada. Dà senso e continuità alla “grande storia del club”. Sia ben chiaro agli scettici che la storia di ogni club è sempre una grande storia. Per quanto minuscolo sia. Non conta se metropolitano o periferico nella geografia del calcio. A qualsiasi latitudine si trovi.
Perché il calcio è uno sport con l’anima e la sua anima sono i tifosi. Chi occupa le stanze dei bottoni farebbe meglio a non dimenticarselo.