“Una volta alla settimana il tifoso fugge dalla sua casa e va allo stadio. Quando la partita si conclude, il sole se ne va e se ne va anche il tifoso. Scende l’ombra sullo stadio che si svuota. Il tifoso si allontana, si sparpaglia, si perde, e la domenica è malinconica come un mercoledì delle ceneri dopo la morte del carnevale” (Eduardo Galeano, ‘Splendori e miserie del gioco del calcio’).
Tifoso/a è chi, nella vita, si lascia più o meno consapevolmente travolgere dalla magia del calcio. La magia è il motore, il traino di questo sport che è bellissimo. La magia è come il vento. Sappiamo che c’è, la sentiamo avvolgerci, ma non la vediamo.
Uno degli stati d’animo che incombe sul tifoso è il rischio della nostalgia. Il carico di ricordi legati alla squadra del cuore e alle maglie che ci si porta appiccicate addosso in ogni momento della giornata, si affastella nella mente e rischia di saturare la memoria.
Accade così di restare spesso impantanati in un passato che potrebbe non ritornare più, di non riuscire a godersi appieno le opportunità e le gioie del presente, di rendere opaca e indistinta la visione del futuro. Così, la nostalgia può diventare una (grandissima) canaglia. E, per molti tifosi/e, lo è.
Ma forse, come sostiene Erri De Luca, “quando ti viene nostalgia non è mancanza: è presenza di persone, luoghi, emozioni che tornano a trovarti“.
Il calcio è una miscela irripetibile di splendori e di miserie. Lo ha raccontato in modo sublime lo scrittore uruguagio Eduardo Galeano.
È proprio questo che lo rende uno sport magico, al punto da non riuscire a farne a meno per una vita intera. Fino alla meraviglia umana di portarsi dentro, per sempre e fino alla fine, i colori della squadra del cuore.
Nella foto: uno striscione issato dai tifosi del CS Lebowski (club di Firenze che gioca il campionato di Promozione).