Il calcio è anche una questione di credibilità e reputazione: parola del ministro per lo sport Andrea Abodi

Il calcio, uno sport bellissimo che è ancora il più seguito al mondo, è anche (e, forse, soprattutto) una questione di reputazione. Per essere credibile il sistema, sia a livello maschile che femminile, deve avere requisiti di credibilità che non sempre vengono rispettati. Quando uno sport diventa impresa, non per questo deve perdere i suoi riferimenti etici, che sono la base della reputazione a tutti i livelli.

Andrea Abodi, ministro per lo sport e i giovani, in occasione dell’audizione in Senato (6 agosto 2024) sulle prospettive di riforma del calcio italiano, ha dichiarato che “l’obiettivo è rendere il sistema credibile mettendo in relazione competitività (non solo delle squadre, ma quella dell’allargamento della base sportiva dedicata al calcio) e sostenibilità”.

Ha aggiunto un altro aspetto importante, vale a dire che “c’è una visione comune di come dovrebbe svilupparsi il sistema calcistico, un settore che deve consolidare i suoi profili di CREDIBILITÀ e REPUTAZIONE, oltre agli aspetti competitivi a livello industriale“.

La reputazione, nei tempi difficili che stiamo vivendo, è molto sottovalutata. Se non addirittura negletta da chi ricopre incarichi istituzionali ovvero ha scelto di sedere nella stanza dei bottoni di un qualsiasi progetto (anche calcistico). Si tratta di un errore fatale che può portare, nel tempo, all’incartamento se non al fallimento di progetti anche validi.

La reputazione è nient’altro che la considerazione altrui. È convenzionalmente sentita come retta misura della qualità o, più comunemente, della moralità. Possiamo realisticamente sostenere che, oggi, il calcio goda di un’ottima e solida reputazione? Il dibattito è aperto, ma argomenti a sostegno non se ne vedono in giro molti. E, si sa, l’eccezione conferma la regola.

L’onestà professionale, fondata sulla capacità di autocritica e del rispetto nei confronti dei collaboratori di un progetto a tutti i livelli, si scontra nel calcio con il fatto che il suo utente finale sono i tifosi. Al centro di qualsiasi progetto dovrebbero esserci dunque la squadra, la città e i tifosi (che del sistema sono il pilastro perché vanno a riempire gli stadi), non certo gli interessi esclusivi della proprietà e l’obbligo del risultato a prescindere dai mezzi con i quali viene raggiunto.

Il fatto è che certi atteggiamenti fondati sull’etica del comportamento, verso sé stessi e verso gli altri, possono isolarti e alla fine confinarti ai margini fino a renderti innocuo. Un errore capitale per il raggiungimento di qualsiasi obiettivo.

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