Da un pezzo il calcio italiano, come la politica della quale è ritenuto una metafora, ha perso ogni slancio. Il mondo pallonaro, ormai da lustri, anziché proiettarsi nel futuro rimane intrappolato nella (sterile) gestione di un eterno e obsoleto presente.
Il sistema, visto dall’esterno, parrebbe testardamente teso a preservare lo status quo. Il fine ultimo? Tutelare gli interessi dei soliti noti, pochi, a scapito di quelli dei molti. I tifosi, ultimi dei mohicani rimasti a presidiare il fortino calcio alla faccia delle intrusive pay tv, sono sempre più messi ai margini. Eppure sarebbero (sono) l’architrave di ogni modello organizzativo, presente e futuro. Dovrebbe stare sempre al centro di ogni progetto.
I sogni, nonostante il business pervasivo e prepotente che ha avariato il sistema, continuano a essere la materia prima di uno sport che resta comunque bellissimo. La gestione strascicata del presente rischia di seppellire gli ultimi ardori di quanti vorrebbero cambiarlo, questo mondo. Una cosa è sicura, almeno secondo noi. Il mondo, ogni tipo di mondo, va ciclicamente rinnovato.
Non è questo il calcio che vorremmo. Prigioniero dei suoi errori e delle sue stanche abitudini. “Beato il popolo che non ha bisogno di eroi”, ha detto Bertolt Brecht. Un assioma che non sembra valere per il pianeta calcio italiano. Alla ricerca spasmodica di eroi, di cavalieri bianchi pronti a impegnarsi nel cambiamento tanto atteso.
Il calcio femminile è l’anello debole del sistema. La sua visibilità mediatica rimane confinata a episodici sussulti di interesse, connessi ai risultati della Nazionale. Il Mondiale di Francia, con le straordinarie imprese della Azzurre guidate da Milena Bartolini, aveva suscitato ben altre speranze di futuro.
Per ora, niente di nuovo sotto il cielo del mondo pallonaro rosa. Il pianeta calcio femminile dovrebbe fare a meno di eroi. Dovrebbe contare su personaggi carismatici, abili a manovrare il timone di una navicella che non riesce a prendere il largo e viene lasciata navigare a vista in acque limacciose.
“La più grande sventura di un gruppo umano è di essere solo”
(Claude Lévi-Strauss, filosofo)