“Il calcio non è il cuore della cultura, ma è cultura popolare, interclassista, condivisa. Non ci sono solo gli ultrà. Ci sono persone di ogni età che hanno voglia e sereno bisogno di divertirsi. Per questo il calcio è cultura, coltiva sogni e socialità”. Lo ha scritto Stefano Benni. Una riflessione totalmente condivisibile, a meno di trasformare questo sport bellissimo in un bieco business pilotato dalle pay tv.
Quando sarà finalmente finita la pandemia che sta portando allo stremo la resistenza degli umani in tutto il mondo, bisognerà che anche il calcio ne esca diverso e migliore di quanto non fosse diventato con la correità di tutti (tifosi compresi).
È stato scritto da Isabella Brega, già nel 2010 sulla rivista Touring del TCI, che da troppo tempo “le nostre città cariche di storia e di monumenti appaiono snervate, cieche di futuro, esauste di entusiasmi e desideri, di speranza e ottimismo. Chiunque di noi abbia viaggiato fuori dai confini italici, per diporto o per lavoro, è tornato a casa (nella maggior parte dei casi) con le stesse impressioni”.
Se come sosteneva Sartre il calcio è una metafora della vita, sarà dunque il caso di fare alcune riflessioni sull’orribile periodo che stava già vivendo in Italia lo sport più bello del mondo. Ben prima della catastrofe covid-19.
La serie A maschile era ormai un assurdo caravanserraglio, popolato da una fauna umana che trova difficile riscontro nella lunga e nobile storia di questo sport. Era rimasto ben poco di godibile tra gossip dilagante, trasmissioni urlate e le televisioni a pagamento a dettare i ritmi. Un pugno di squadre a tracciare linee guida che hanno portato allo sbando uno sport tanto bello da non sembrare vero, da sempre polo di attrazione delle masse.
Il mondo pallonaro italiano era già snervato, cieco di futuro, esausto di entusiasmi e di desideri, di speranza e di ottimismo. Lo era già prima della pandemia. Nessuna soluzione futura sarà praticabile se non alimentata da un vero slancio etico, come quello che segnò l’origine del movimento calcistico femminile (nella foto).
Con il prossimo passaggio al professionismo, la serie A femminile ha la monumentale possibilità di imprimere al sistema un soprassalto di cultura calcistica. L’obiettivo prioritario? Riportare la gente a coltivare sogni e socialità, grazie al traino di uno sport che potrebbe farcela a riportare la voglia di divertirsi della quale c’è vitale bisogno dopo tanto buio e tanto dolore.