Il calcio femminile fra passato e futuro: serve una leadership in grado di assicurare la ‘vera’ crescita del movimento

Cos’è il capitale umano? Un bene immateriale, non quantificabile con metodi scientifici, che ha molto a che fare con la qualità e gli obiettivi di ogni prestazione di cui gli umani vogliano essere artefici.

Nel calcio femminile, in particolare nel campionato di serie A prima che diventasse professionistico, un invidiabile capitale umano si era costruito nel tempo grazie a una pressocchè perfetta miscela fatta di passione, capacità, competenze, conoscenze, abilità professionali e relazionali.

Un patrimonio impalpabile di rilevanza cruciale per la crescita e la stabilizzazione del movimento, anche in virtù degli stretti legami intrecciati con il territorio.

Di qualcosa di simile, in una piramide rosa ancora troppo impantanata nel suo (opaco?) ‘status quo’, non si intravede a nostro parere che qualche labile traccia.

Il capitale umano dovrebbe essere (è) un plusvalore imprescindibile. In carenza, la serie A professionistica non riuscirà a innescare il circolo virtuoso capace di assicurare stabilità e sostenibilità all’intero movimento.

Si sente il bisogno che le strutture istituzionali preposte si mettano a caccia di un capitale umano all’altezza di quegli obiettivi che si dice di voler perseguire, almeno sulla carta.

Servono leadership in grado di tracciare linee guida innovative e di ottenere la sostenibilità economica necessarie per far lievitare l’intero sistema. Pena la sua (inevitabile?) regressione.

Ma sappiamo bene tutti che il tempo è tiranno. Si deve fare presto, che è (già troppo) tardi!

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